Studio Psicologia Analitica
Attacchi di Panico
Premessa: Risulta difficile non ricordare la lista dei sintomi del DAP (Disturbo da attacco di Panico), lista funzionale ad un utilizzo clinico -diagnostico - didattico ma elenco abbastanza inutile se non dannoso per le applicazioni della psicoterapia analitica ai vari contesti del DAP che incontriamo nella pratica psicoterapeutica. I sintomi degli attacchi di panico sono comuni, può essere facile per molti rivedersi in tutto o in parte, ma il mondo interno in cui essi hanno origine può differire significativiamente da individuo a individuo, e questa è una delle ragioni per cui una psicoterapia analitica, approccio in cui si mette al centro l’individuo nella sua totalità e nel suo divenire più che nei suoi sintomi (che io definerei “epifenomeni sintomatici”) può essere abbastanza risolutiva del problema.
Per chi legge questo articolo senza competenze specifiche, capisco che non sarà semplice la comprensione di tutto il discorso, del resto la materia è molto complessa e conseguentemente mi prendo la responsabilità di non divulgare una “semplificazione degli attacchi di panico” intesa come un elenco di sintomi da curare in un modo o nell’altro.
In questo caso proprio il modello medico-oggettivante (osservazione dei sintomi - diagnosi - e terapia e/o psico-terapia idonea…), dimostra tutti i suoi limiti, in assenza di una comprensione molto più ampia dell’individuo-paziente, del suo contesto, della sua storia e della sua potenziale direzione.
Sintomi:
Gli attacchi di panico si manifestano generalmente con una improvvisa, immotivata ed intensa angoscia esperita prevalentemente sul piano somatico, spesso sottendono una forte paura di morte data l’intensità del suo “contorno di sintomi fisici”. Tenendo conto di quanto ho detto in premessa, i sintomi più frequenti sono riferiti all’apparato cardio-vascolare e respiratorio: dispnea (difficoltà a respirare) tachicardia, pseudo-aritmia cardiaca, perdita di forze, capogiri; sono sintomi che si alternano per alcuni minuti fino a protrarsi per più tempo, portano l’individuo ad avere interiormente vissuti molto diversi, vissuti rispetto ai quali è difficile consapevolizzarsi durante l’attacco di panico stesso, che assorbe moltissime energie psichiche finalizzate a “sopravvivere” all’attacco stesso. Non infrequenti sono anche disturbi gastrici (forte senso di nausea e vomito) ed intestinali, sia nella fase “prodromica” (il periodo che può precedere l’attacco) che “postdromica”.
Il vissuto del DAP:
Per vissuto intendo la complessa e diversificata fenomenologia (ciò che appare all’individuo) che scorre all’interno della psiche durante un attacco di panico; il vissuto ha un valore di analisi diagnostica e terapeutica fondamentale; ad esempio è comune che si sviluppi la fobia del susseguirsi di altri attacchi di panico, questo infatti è dato più dall’importanza della fenomenologia interiore degli attacchi che del loro manifestarsi in un posto più che un altro, con una situazione piuttosto che un’altra. Ecco una lista (non esaustiva) dei vissuti principali:
Durante il DAP
L’angoscia di Morte spesso è al primo posto, ovviamente è accompagnata da un “contorno sintomatologico perfetto” e ben adeguato ad evocarne l’immagine: palpitazioni, vertigini, perdita di forze etc, sintomi somatici che spingono l’individuo a trovarsi in procinto di una morte imminente, piena di sofferenza, in quanto quasi consapevole…
Situazione di “Arousal”; si intende una stato di allerta cosciente, generalizzato e aspecifico che precede o segue i DAP. E’ accompagnato da un consistente correlato neurofisiologico (una situazione di forte attivazione neuro-endocrina e in senso lato neuro- funzionale). Peraltro l’Arousal (attivazione-eccitamento) è una condizione funzionale ben sviluppata nei mammiferi superiori, atta a gestire situazioni di pericolo, in modo da avere risposte comportamentali rapide ed efficaci (attacco-fuga). Il nostro Arousal perde la sua specificità contestuale nei DAP perché il pericolo esiste solo nella fenomenologia interna dell’individuo .
Situazione di “No way out”: frequente percezione di non avere scampo, di non avere vie di uscita anche se non si sa bene da che cosa…
Profonda alterazione dello stato coscienza: questo è un aspetto su cui poco a mio avviso si è indagato nella letteratura sull’argomento; nei DAP la coscienza dell’ EGO è profondamente alterata, si percepiscono le sensazioni in maniera smisuratamente amplificata, e distorta, in pratica si costruisce una realtà ben diversa, da quella oggettiva (ammesso che si possa accettare che esista una realtà oggettiva). In questo senso il momento del panico è assolutamente accostabile ad altri disturbi dissociativi o psicotici, in individui che non sono psicotici nel senso clinico del termine.
Alterazione del piano di relazione con l’altro: E’ una conseguenza del punto precedente ed è forse una delle cause di maggiore reticenza a parlare di DAP alle persone che abbiamo intorno. Il Piano della relazione si altera quasi a portare a non riconoscersi più (e a non riconoscere quindi l’altro); questo avviene nel provare sentimenti distorti, soprattutto nel percepire le persone molto distanti da noi, come “altre da noi”. Quindi un vero e proprio senso di alienazione relazionale (temporanea), in cui è impossibile comunicare sensazioni profonde (da cui si è squassati) rimanendo su un piano di superficie (“sto bene”- “sto male”). Questa alienazione profonda porta ad una situazione di isolamento (anche durante l’attacco) per cui alcune persone sono addirittura restie a farsi soccorrere.
Paura generalizzata di una fine, di un epilogo, la distinguerei dall’angoscia di morte in quanto in quanto è una sensazione molto più estroflessa e rivolta all’esterno, come se tutto il proprio mondo (intorno) implodesse. Questo punto è molto presente nella fase “prodromica” si crea una sorta di angoscia, di aspettativa come se qualcosa (o tutto) debba finire per un pericolo imminente.
Perdita di senso, tutto ciò che circonda il fare e l’essere dell’individuo acquista un connotato di insensatezza globale, quindi perdita di prospettiva anche nel futuro, si differenzia nettamente dallo stato depressivo per l’intensità assoluta e totalizzante dell’insensatezza che per fortuna arriva a picchi, e si attenua dopo l’attacco.
Prima o dopo il DAP
Restrizione dello Spazio Vitale: si tratta della caratteristica più invalidante di questo disturbo, tende ad apparire progressivamente con il cronicizzarsi della situazione. Nel momento in cui I DAP si strutturano e iniziano quindi a “far parte della vita” dell’individuo, l’Ego attua una serie di reazioni nevrotiche accessorie, in modo da compensare la presenza dei DAP. Per esempio l’evitare di uscire, o di muoversi autonomamente da un ipotetico epicentro (che a volte coincide con l’abitazione stessa) per evitare l’evenienza di un AP, questo aspetto viene scambiato (a mio avviso erroneamente) con una fobia sociale, la differenza fondamentale è che è prevalentemente un comportamento di evitamento e non strettamente una paura di relazione.
L’agorafobia può presentarsi invece in maniera accessoria, quale evitamento di luoghi affollati, specie se in quella circostanza si sono verificati dei DAP, anche in questo caso è più prevalente la paura che questi accadano rispetto al dato oggettivo che ci siano effettivamente stati in maniera ripetuta.
Tutto questo ampio spettro di comportamenti accessori (dato che non avvengono durante i DAP) ha il suo denominatore comune nel restringimento dello spazio vitale, nella forte percezione del limite, nell’ossessivo tentativo di prevenire l’evenienza dell’attacco di panico.
Perdita di senso e vissuti di insensatezza “a freddo”, a differenza dell’insensatezza che può essere vissuta durante un DAP, qui si tratta di “vuoti d’aria” dell’aspetto motivazionale del vivere e dell’agire che si verificano a distanza degli attacchi di Panico ma sono in qualche modo ad essi correlati. Mi riferisco anche al vivere le emozioni in maniera molto più tenue ed “anestetizzata”. Individui sensibili “all’aspetto ontologico del vivere” spesso vengono attraversati da questo vissuti.
Aspettativa che i DAP si riverifichino: E’ l’elemento clinico predominante in queste situazioni, anzi è la parte più cospicua della vita di chi soffre di DAP. In effetti gli episodi di panico non sono così frequenti, se una persona si cura può stare anche mesi o anni senza questi episodi, mentre la parte maggiore del disturbo (e quindi della vita) è proprio l’angoscia che gli attacchi possano ritornare, è l’idea che ci si possa ritrovare in quella situazione.
in Generale, essendo una manifestazione piuttosto diffusa si osservano una maggiore incidenza di DAP in luoghi chiusi, potenzialmente claustrofobici, senza vie di uscita, oppure in luoghi molto affollati dove il “brulichio” delle persone sembra innescare una sorta di perdita di controllo della situazione:
Nella mia esperienza clinica e quindi nella città di Genova , ho riscontrato una forte incidenza sulla sopraelevata (un raccordo stradale cittadino stretto, senza piazzole di emergenza per 5 Km), nella metropolitana, e nei centri commerciali (Fiumara Ipercoop). E’ ovvio che il passare in quelle zone non significhi la eventualità certa di un DAP.
Gli attacchi di panico sono una manifestazione di tipo collettivo:
L’attacco di Panico è una modalità dell’inconscio per far irrompere in maniera convettiva una quantità enorme di energia verso la coscienza individuale, energia che, seguendo le note forme archetipiche dell’inconscio collettivo, si manifesta in maniera destrutturante per l’Ego che ne subisce il flusso, e che impiega tutte le sue risorse a controllare la situazione ed a farvi fronte.
Parlando dell’ aspetto collettivo non intendo solo che siano molto diffusi; quanto che esista una matrice comune che prenda spunto da un disagio o da un diffusa percezione di “perdita di senso” ben presente nell’inconscio collettivo del nostro tempo.
Su questo punto tutt’altro che esplorato nella letteratura sull’argomento ci sono molte evidenze che derivano soprattutto dalle analisi dei sogni di molti pazienti, analisi che saranno oggetto di prossime pubblicazioni.
Su un piano più “sociale-antropologico” mi preme sottolineare quanto spesso li si chiama in causa anche quando obiettivamente si tratta solamente di forti manifestazioni di ansia. Il “successo” dell’attacco di Panico nel linguaggio comune dei paesi industrializzati indica fortemente una matrice collettiva del fenomeno, come a un attaccamento inconscio a questo termine e all’eventualità di potercisi trovare a fare fronte.
Altri elementi collettivi vengono ritrovati in abbondanza nella filmografia e nella letteratura comune degli ultimi 50 anni con un picco di catastrofismo cinematografico nell’ultimo ventennio.
Gli attacchi di panico sono una manifestazione individuale:
Come ho già detto, dietro al sintomo “comune” c’è una storia individuale ben differente da persona a persona, ovviamente questo va valutato con accortezza nel procedere della psicoterapia, e nel valutare fasi in cui sia necessario anche un intervento di tipo farmacologico.
Terapia degli attacchi di panico:
L’approccio terapeutico è di tipo misto, ovvero sia psicoterapeutico che farmacologico.
La Psicoterapia con indirizzo analitico deve essere molto “elastica” per essere efficace sui DAP, mi riferisco alla necessità di utilizzare all’interno di essa anche vari elementi di decondizionamento del sintomo e di recupero degli spazi (reali) che l’individuo perde sviluppando abitudini difensive e conservative rispetto al sintomo. L’analisi del mondo onirico farà da guida alle varie fasi.
L’utilizzo di strumenti farmacologici è spesso necessario in affiancamento al lavoro psicoterapeutico, soprattutto per le fasi più acute del sintomo, fasi in cui è indispensabile tenere a bada il substrato neurobiologico dei DAP e della sindrome ansiosa a questi collegata.
La psicoterapia analitica è comunque un lavoro di auto-coscienza ed è questo il concetto cardine attraverso il quale l’energia (non poca a onor del vero) che viene canalizzata nei DAP prende un strada più simbolica (attraverso il lavoro sull’inconscio e sui sogni).
Lo sviluppo di questa “funzione simbolica e relazionale”, porta alla trasformazione dei nuclei nodali attraverso i quali si attua quell’eccesso di sentire, di percepire, di vivere (e di morire) caratteristico dei DAP.
Il lavoro di psicoterapia Analitica porta a rendere più consapevoli gli elementi di insensatezza collettivi (in questa era particolarmente diffusi), a riconoscerli in sè ed a inserirli in una cornice coscienziale più evoluta, drenando così l’energia “selvaggia” che scaturisce dall’elemento collettivo degli attacchi di panico.
Premessa: Risulta difficile non ricordare la lista dei sintomi del DAP (Disturbo da attacco di Panico), lista funzionale ad un utilizzo clinico -diagnostico - didattico ma elenco abbastanza inutile se non dannoso per le applicazioni della psicoterapia analitica ai vari contesti del DAP che incontriamo nella pratica psicoterapeutica. I sintomi degli attacchi di panico sono comuni, può essere facile per molti rivedersi in tutto o in parte, ma il mondo interno in cui essi hanno origine può differire significativiamente da individuo a individuo, e questa è una delle ragioni per cui una psicoterapia analitica, approccio in cui si mette al centro l’individuo nella sua totalità e nel suo divenire più che nei suoi sintomi (che io definerei “epifenomeni sintomatici”) può essere abbastanza risolutiva del problema.
Per chi legge questo articolo senza competenze specifiche, capisco che non sarà semplice la comprensione di tutto il discorso, del resto la materia è molto complessa e conseguentemente mi prendo la responsabilità di non divulgare una “semplificazione degli attacchi di panico” intesa come un elenco di sintomi da curare in un modo o nell’altro.
In questo caso proprio il modello medico-oggettivante (osservazione dei sintomi - diagnosi - e terapia e/o psico-terapia idonea…), dimostra tutti i suoi limiti, in assenza di una comprensione molto più ampia dell’individuo-paziente, del suo contesto, della sua storia e della sua potenziale direzione.
Sintomi:
Gli attacchi di panico si manifestano generalmente con una improvvisa, immotivata ed intensa angoscia esperita prevalentemente sul piano somatico, spesso sottendono una forte paura di morte data l’intensità del suo “contorno di sintomi fisici”. Tenendo conto di quanto ho detto in premessa, i sintomi più frequenti sono riferiti all’apparato cardio-vascolare e respiratorio: dispnea (difficoltà a respirare) tachicardia, pseudo-aritmia cardiaca, perdita di forze, capogiri; sono sintomi che si alternano per alcuni minuti fino a protrarsi per più tempo, portano l’individuo ad avere interiormente vissuti molto diversi, vissuti rispetto ai quali è difficile consapevolizzarsi durante l’attacco di panico stesso, che assorbe moltissime energie psichiche finalizzate a “sopravvivere” all’attacco stesso. Non infrequenti sono anche disturbi gastrici (forte senso di nausea e vomito) ed intestinali, sia nella fase “prodromica” (il periodo che può precedere l’attacco) che “postdromica”.
Il vissuto del DAP:
Per vissuto intendo la complessa e diversificata fenomenologia (ciò che appare all’individuo) che scorre all’interno della psiche durante un attacco di panico; il vissuto ha un valore di analisi diagnostica e terapeutica fondamentale; ad esempio è comune che si sviluppi la fobia del susseguirsi di altri attacchi di panico, questo infatti è dato più dall’importanza della fenomenologia interiore degli attacchi che del loro manifestarsi in un posto più che un altro, con una situazione piuttosto che un’altra. Ecco una lista (non esaustiva) dei vissuti principali:
Durante il DAP
L’angoscia di Morte spesso è al primo posto, ovviamente è accompagnata da un “contorno sintomatologico perfetto” e ben adeguato ad evocarne l’immagine: palpitazioni, vertigini, perdita di forze etc, sintomi somatici che spingono l’individuo a trovarsi in procinto di una morte imminente, piena di sofferenza, in quanto quasi consapevole…
Situazione di “Arousal”; si intende una stato di allerta cosciente, generalizzato e aspecifico che precede o segue i DAP. E’ accompagnato da un consistente correlato neurofisiologico (una situazione di forte attivazione neuro-endocrina e in senso lato neuro- funzionale). Peraltro l’Arousal (attivazione-eccitamento) è una condizione funzionale ben sviluppata nei mammiferi superiori, atta a gestire situazioni di pericolo, in modo da avere risposte comportamentali rapide ed efficaci (attacco-fuga). Il nostro Arousal perde la sua specificità contestuale nei DAP perché il pericolo esiste solo nella fenomenologia interna dell’individuo .
Situazione di “No way out”: frequente percezione di non avere scampo, di non avere vie di uscita anche se non si sa bene da che cosa…
Profonda alterazione dello stato coscienza: questo è un aspetto su cui poco a mio avviso si è indagato nella letteratura sull’argomento; nei DAP la coscienza dell’ EGO è profondamente alterata, si percepiscono le sensazioni in maniera smisuratamente amplificata, e distorta, in pratica si costruisce una realtà ben diversa, da quella oggettiva (ammesso che si possa accettare che esista una realtà oggettiva). In questo senso il momento del panico è assolutamente accostabile ad altri disturbi dissociativi o psicotici, in individui che non sono psicotici nel senso clinico del termine.
Alterazione del piano di relazione con l’altro: E’ una conseguenza del punto precedente ed è forse una delle cause di maggiore reticenza a parlare di DAP alle persone che abbiamo intorno. Il Piano della relazione si altera quasi a portare a non riconoscersi più (e a non riconoscere quindi l’altro); questo avviene nel provare sentimenti distorti, soprattutto nel percepire le persone molto distanti da noi, come “altre da noi”. Quindi un vero e proprio senso di alienazione relazionale (temporanea), in cui è impossibile comunicare sensazioni profonde (da cui si è squassati) rimanendo su un piano di superficie (“sto bene”- “sto male”). Questa alienazione profonda porta ad una situazione di isolamento (anche durante l’attacco) per cui alcune persone sono addirittura restie a farsi soccorrere.
Paura generalizzata di una fine, di un epilogo, la distinguerei dall’angoscia di morte in quanto in quanto è una sensazione molto più estroflessa e rivolta all’esterno, come se tutto il proprio mondo (intorno) implodesse. Questo punto è molto presente nella fase “prodromica” si crea una sorta di angoscia, di aspettativa come se qualcosa (o tutto) debba finire per un pericolo imminente.
Perdita di senso, tutto ciò che circonda il fare e l’essere dell’individuo acquista un connotato di insensatezza globale, quindi perdita di prospettiva anche nel futuro, si differenzia nettamente dallo stato depressivo per l’intensità assoluta e totalizzante dell’insensatezza che per fortuna arriva a picchi, e si attenua dopo l’attacco.
Prima o dopo il DAP
Restrizione dello Spazio Vitale: si tratta della caratteristica più invalidante di questo disturbo, tende ad apparire progressivamente con il cronicizzarsi della situazione. Nel momento in cui I DAP si strutturano e iniziano quindi a “far parte della vita” dell’individuo, l’Ego attua una serie di reazioni nevrotiche accessorie, in modo da compensare la presenza dei DAP. Per esempio l’evitare di uscire, o di muoversi autonomamente da un ipotetico epicentro (che a volte coincide con l’abitazione stessa) per evitare l’evenienza di un AP, questo aspetto viene scambiato (a mio avviso erroneamente) con una fobia sociale, la differenza fondamentale è che è prevalentemente un comportamento di evitamento e non strettamente una paura di relazione.
L’agorafobia può presentarsi invece in maniera accessoria, quale evitamento di luoghi affollati, specie se in quella circostanza si sono verificati dei DAP, anche in questo caso è più prevalente la paura che questi accadano rispetto al dato oggettivo che ci siano effettivamente stati in maniera ripetuta.
Tutto questo ampio spettro di comportamenti accessori (dato che non avvengono durante i DAP) ha il suo denominatore comune nel restringimento dello spazio vitale, nella forte percezione del limite, nell’ossessivo tentativo di prevenire l’evenienza dell’attacco di panico.
Perdita di senso e vissuti di insensatezza “a freddo”, a differenza dell’insensatezza che può essere vissuta durante un DAP, qui si tratta di “vuoti d’aria” dell’aspetto motivazionale del vivere e dell’agire che si verificano a distanza degli attacchi di Panico ma sono in qualche modo ad essi correlati. Mi riferisco anche al vivere le emozioni in maniera molto più tenue ed “anestetizzata”. Individui sensibili “all’aspetto ontologico del vivere” spesso vengono attraversati da questo vissuti.
Aspettativa che i DAP si riverifichino: E’ l’elemento clinico predominante in queste situazioni, anzi è la parte più cospicua della vita di chi soffre di DAP. In effetti gli episodi di panico non sono così frequenti, se una persona si cura può stare anche mesi o anni senza questi episodi, mentre la parte maggiore del disturbo (e quindi della vita) è proprio l’angoscia che gli attacchi possano ritornare, è l’idea che ci si possa ritrovare in quella situazione.
in Generale, essendo una manifestazione piuttosto diffusa si osservano una maggiore incidenza di DAP in luoghi chiusi, potenzialmente claustrofobici, senza vie di uscita, oppure in luoghi molto affollati dove il “brulichio” delle persone sembra innescare una sorta di perdita di controllo della situazione:
Nella mia esperienza clinica e quindi nella città di Genova , ho riscontrato una forte incidenza sulla sopraelevata (un raccordo stradale cittadino stretto, senza piazzole di emergenza per 5 Km), nella metropolitana, e nei centri commerciali (Fiumara Ipercoop). E’ ovvio che il passare in quelle zone non significhi la eventualità certa di un DAP.
Gli attacchi di panico sono una manifestazione di tipo collettivo:
L’attacco di Panico è una modalità dell’inconscio per far irrompere in maniera convettiva una quantità enorme di energia verso la coscienza individuale, energia che, seguendo le note forme archetipiche dell’inconscio collettivo, si manifesta in maniera destrutturante per l’Ego che ne subisce il flusso, e che impiega tutte le sue risorse a controllare la situazione ed a farvi fronte.
Parlando dell’ aspetto collettivo non intendo solo che siano molto diffusi; quanto che esista una matrice comune che prenda spunto da un disagio o da un diffusa percezione di “perdita di senso” ben presente nell’inconscio collettivo del nostro tempo.
Su questo punto tutt’altro che esplorato nella letteratura sull’argomento ci sono molte evidenze che derivano soprattutto dalle analisi dei sogni di molti pazienti, analisi che saranno oggetto di prossime pubblicazioni.
Su un piano più “sociale-antropologico” mi preme sottolineare quanto spesso li si chiama in causa anche quando obiettivamente si tratta solamente di forti manifestazioni di ansia. Il “successo” dell’attacco di Panico nel linguaggio comune dei paesi industrializzati indica fortemente una matrice collettiva del fenomeno, come a un attaccamento inconscio a questo termine e all’eventualità di potercisi trovare a fare fronte.
Altri elementi collettivi vengono ritrovati in abbondanza nella filmografia e nella letteratura comune degli ultimi 50 anni con un picco di catastrofismo cinematografico nell’ultimo ventennio.
Gli attacchi di panico sono una manifestazione individuale:
Come ho già detto, dietro al sintomo “comune” c’è una storia individuale ben differente da persona a persona, ovviamente questo va valutato con accortezza nel procedere della psicoterapia, e nel valutare fasi in cui sia necessario anche un intervento di tipo farmacologico.
Terapia degli attacchi di panico:
L’approccio terapeutico è di tipo misto, ovvero sia psicoterapeutico che farmacologico.
La Psicoterapia con indirizzo analitico deve essere molto “elastica” per essere efficace sui DAP, mi riferisco alla necessità di utilizzare all’interno di essa anche vari elementi di decondizionamento del sintomo e di recupero degli spazi (reali) che l’individuo perde sviluppando abitudini difensive e conservative rispetto al sintomo. L’analisi del mondo onirico farà da guida alle varie fasi.
L’utilizzo di strumenti farmacologici è spesso necessario in affiancamento al lavoro psicoterapeutico, soprattutto per le fasi più acute del sintomo, fasi in cui è indispensabile tenere a bada il substrato neurobiologico dei DAP e della sindrome ansiosa a questi collegata.
La psicoterapia analitica è comunque un lavoro di auto-coscienza ed è questo il concetto cardine attraverso il quale l’energia (non poca a onor del vero) che viene canalizzata nei DAP prende un strada più simbolica (attraverso il lavoro sull’inconscio e sui sogni).
Lo sviluppo di questa “funzione simbolica e relazionale”, porta alla trasformazione dei nuclei nodali attraverso i quali si attua quell’eccesso di sentire, di percepire, di vivere (e di morire) caratteristico dei DAP.
Il lavoro di psicoterapia Analitica porta a rendere più consapevoli gli elementi di insensatezza collettivi (in questa era particolarmente diffusi), a riconoscerli in sè ed a inserirli in una cornice coscienziale più evoluta, drenando così l’energia “selvaggia” che scaturisce dall’elemento collettivo degli attacchi di panico.