Studio Psicologia Analitica
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Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione GEA
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Anno 9° N° 33 Settembre 2000 Pag. 13 Autore: Simonetta Figuccia
EDUCARE OVVERO CONDURRE AL SE'
Poiché interno ed esterno sono un'unica realtà vivente la "mancanza subita sarà mancanza ritrovata"
Il più delle volte si cerca un aiuto psicologico per un bisogno impellente di placare un dolore, la frustrazione, l'insensatezza, tutto ciò che ci obbliga a reggere e contenere una forte tensione, che chiameremo genericamente malessere.
Il malessere ha mille volti ma una costante si ripete ancora nella storia dell'uomo: la spinta e la volontà di liberarsi da quello stato di tensione ritenuto scomodo ed estraneo, e questo implicitamente si chiede al terapeuta a cui si delegano totalmente doti salvifiche e magiche.
Il cosiddetto malessere può diminuire rapidamente e in questo caso ci si saluta e si resta ad un livello di fruizione del lavoro psicologico, del tipo dare - avere.
Accade a volte che il malessere ci incalzi e ci inchiodi: possiamo disfarcene, decidendo in maniera arrogante che la terapia non è servita, oppure con l'umiltà di chi sa che tutta la vita è un processo di crescita possiamo avere la fortuna di apprendere il dialogo interiore.
Accettare l'esistenza del malessere, della contraddizione, del non senso, del sì e del no che lottano in noi, significa comunque imparare a reggere la tensione libidica che ci attraversa e apprendere la mediazione riflessiva.
E' un processo che richiede pazienza e un impegno quotidiano e metodico, come dicono molti sogni in cui bisogna tornare a scuola per imparare non tanto dei contenuti quanto la mediazione.
L'io viene messo all'angolo e anche se si è adulti e vaccinati si tratta di acquisire uno strumento o di consapevolizzarsi di averlo già da tempo.
Questo percorso di conoscenza e di autoriflessione, richiede per lungo tempo l'accettazione della frustrazione dell'io che vuole risultati, che vuole raggiungere obiettivi velocemente, che vuole liberarsi dalla contraddizione insita nell'essere umano e detenere il controllo.
Sappiamo che solo l'accoglienza del limite in analisi potrà svelare nuovi orizzonti e tesori prima impensabili, solo l'accettazione della dialettica e della inevitabile conflittualità può permettere di accedere al livello di soggettività in cui posso aprirmi al nuovo.
Lavorando da anni con bambini ed adolescenti scaturisce in me inevitabile un interrogativo: è possibile educare alla presenza?
Come possiamo favorire la mediazione riflessiva in questo momento storico?
La modalità nevrotica, come abbiamo ampiamente trattato, è dal nostro punto di vista, un modo di essere. Attraverso il modo nevrotico, il soggetto aliena da sè il malessere, la dialetticità e la stessa soggettività.
Il nevrotico si fa oggetto passivo in balia dell'altro o del malessere che tende ad estraniare da sè.
Il nevrotico si pone come colui che non sa tollerare la sofferenza e il dolore, alienando così la propria soggettività.
Nelle richieste di terapia per bambini o adolescenti si presenta spesso la situazione in cui i figli prevaricano i genitori i quali si sentono impotenti di fronte a una sorta di corto circuito emotivo in cui non c'è adulto che venga rispettato e riconosciuto come tale.
E' un malessere crescente che si avverte non solo nel privato delle case ma anche nei luoghi deputati all'educazione, le scuole.
Insieme ad una crescente presenza e spiritualità possibile per le giovani generazioni assistiamo anche alla manifestazione del lato contrario: l'inflazione di un'onnipotenza egoica ai limiti della distorsione del senso di realtà, che fa proliferare "piccoli despoti" che non possono tollerare la benché minima frustrazione. L'attuale società, che persegue l'appagamento, il fare, (penso alla quantità di giochi che i bambini hanno, alle attività frenetiche che svolgono a livello extrascolastico, ai tempi riempiti di attività e di impegni,) è complice della nevrotizzazione e allontana le coscienze emergenti dalla possibilità di percepirsi come soggetti presenti a sè.
Questo non significa che bisogna per forza tornare ad un tipo di società meno evoluta e trasferirci tutti in campagna per vivere una vita più semplice, o rimpiangere nostalgicamente un tempo passato, anzi significa attivare al massimo la nostra possibilità di senso critico e consapevolezza, cercando davvero di offrire il meglio.
E il meglio, psicologicamente e spiritualmente parlando, paradossalmente è aiutare ad amare la mancanza. Come?
Possiamo vedere tutto il nostro processo di crescita come una serie di salti riflessivi, in cui l'immediatezza e l'impulsività irriflessiva lasciano il posto alla presenza.
La prima "educatrice" è la vita stessa con le sue prove e le vicende e sono pure le figure adulte che ci toccano in sorte o che ci scegliamo. I limiti che ci sono stati imposti, le frustrazioni dovute al nostro limite.
Imparare a reggere la tensione e accettare il limite fa parte del processo di crescita. Sappiamo che l'appagamento è una condizione da abbandonare e che la solitudine è un appuntamento fondamentale, ma spesso lo rimandiamo e il nostro sistema educativo ci permette di rimandare.
La nostra è una società che lascia poco spazio al vuoto, al silenzio, alla mancanza, alla noia: ci si riempie e si riempie.
Riempire sempre di cose, parole, ecc. il bambino significa farlo crescere con l'idea di dover essere appagati ad oltranza.
Ma la conseguenza più preziosa del fatto di non ottenere sempre quello che si vuole, e di sentirsi dire dei no o sopportare un limite, è tutt'uno con lo sviluppo della capacità di sopportare uno spazio vuoto.
Se gli spazi vengono riempiti all'istante, non c'è posto per la creatività.
Troppo spesso comunichiamo ai bambini che uno spazio vuoto è intollerabile, e che senza soddisfazione tutto è perduto.
Tollerando di non avere e conoscendo la solitudine e il vuoto, si acquista quella fiducia in se stessi che nessuno potrà mai sottrarci e si potrà accedere alla consapevolezza di noi stessi e del nostro sè.
Capita così che tutto sia ribaltato e quell'inevitabile senso di mancanza e non appagamento che caratterizza il nostro statuto realmente umano, può essere rivalutato come l'esperienza più preziosa che la vita ci offre.
Educazione interiore ed esteriore sono una sola cosa:
l'accoglienza della mancanza è tesoro prezioso nella vita e nelle profondità dell'anima, perché interno ed esterno sono un'unica realtà vivente e la "mancanza subita sarà mancanza ritrovata".
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